SCHIUMA SPAZIO-TEMPORALE: NUOVI DATI DAI SATELLITI E DAL POLO SUD

Lo studio condotto da un team guidato dal fisico della Sapienza Giovanni Amelino Camelia si arricchisce di nuovi dati provenienti dal progetto IceCube, situato al Polo Sud. La ricerca è su Nature Astronomy

Pensare lo spazio-tempo come una schiuma. È quanto hanno fatto i fisici per conciliare due teorie rivoluzionarie della fisica moderna: la relatività generale che spiega la gravitazione su larga scala e la teoria quantistica che disciplina il comportamento delle particelle microscopiche fondamentali. 

Essenzialmente i modelli di “schiuma”, avendo a che fare con particelle microscopiche, descrivono lo spazio-tempo come una struttura geometrica granulare, contrariamente a quanto accade per i moti di corpi macroscopici, come i pianeti, nei quali non si manifesta alcuna granularità spaziotemporale. Dal punto di vista osservativo è una situazione analoga a quella di un secchiello trasparente riempito di sabbia a metà: guardando il secchiello da lontano non si riesce a capire se contiene un fluido o qualcosa di struttura granulare; solo avvicinandosi al secchiello (aumentando quindi la risoluzione con cui osserviamo) si riesce ad apprezzare la granularità della sabbia.

Per decenni non si è riusciti a dimostrare sperimentalmente questa affascinante ipotesi di descrizione dello spazio-tempo, perché gli effetti del fenomeno sono estremamente piccoli e quindi difficilissimi da rilevare. Lo studio condotto da Giovanni Amelino Camelia del Dipartimento di Fisica, in collaborazione con il dottorando Giacomo D’Amico e gli addottorati Niccolò Loret e Giacomo Rosati (ora rispettivamente all’Università di Zagabria e all’Università di Cagliari) ha prodotto la prima analisi di dati sperimentali con esiti che, sebbene per ora preliminari, favoriscono appunto lo scenario della schiuma spaziotemporale.

La ricerca, pubblicata nell’ultimo numero della rivista Nature Astronomy, ha utilizzato i dati ottenuti dal telescopio spaziale Fermi, un telescopio finanziato principalmente dalla Nasa a cui collaborano anche le agenzie spaziali di Italia, Francia, Giappone e Svezia, e dall’osservatorio per neutrini IceCube, localizzato al Polo Sud e finanziato dalla National Science Foundation degli Usa. Lo studio ha una impostazione statistica che considera tutti i dati finora ottenuti da Fermi e IceCube, per stabilire quanto sono frequenti le osservazioni di particelle (fotoni o neutrini) con proprietà attribuibili alla schiuma spaziotemporale. 

In base ad alcuni modelli di schiuma spaziotemporale le particelle che giungono fino a noi dalle sorgenti che le emettono impiegherebbero un tempo di viaggio che dipende, seppur molto debolmente, dalla loro energia. Cercare evidenza di questa dipendenza dei tempi di viaggio dall’energia è reso più difficoltoso dal fatto che le proprietà delle sorgenti, per ora ancora poco comprese, potrebbero in alcuni casi mimare gli effetti della schiuma spaziotemporale. Solo con analisi statistiche che combinino le proprietà osservate per un insieme di particelle si può provare a distinguere tra effetti dovuti alle proprietà delle sorgenti ed effetti dovuti alla schiuma spaziotemporale.

Lo studio condotto dalla Sapienza mostra che i dati raccolti finora hanno proprietà statistiche che favoriscono l’interpretazione basata sulla schiuma spazio-temporale, piuttosto che sulle proprietà delle sorgenti, ma il campione statistico attualmente disponibile non è sufficiente a trarre conclusioni definitive. «Con l’ulteriore accumulo di dati che si avrà nei prossimi 4 o 5 anni – spiega Amelino Camelia - potremo sapere con certezza se lo specifico modello di schiuma spaziotemporale che abbiamo considerato è confermato. Anche in caso negativo – continua il ricercatore - sarebbe un passo significativo per lo studio della schiuma spaziotemporale, consentendoci di restringere la classe di modelli su cui concentrare gli sforzi».

Lunedì, 05 giugno 2017

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