Da dove arrivano gli indoeuropei? La Sapienza partecipa al più grande studio condotto sul DNA antico delle popolazioni dell'Asia centrale e meridionale

La ricerca più vasta di sempre sull'antico DNA umano, insieme al primo genoma di un individuo dell'antica Indus Valley Civilization, rivela la mutevole discendenza delle popolazioni dell'Asia centrale e meridionale nel tempo, imponendo di rivedere l'ipotesi anatolica sulla migrazione delle popolazioni indoeuropea. Il 22% di tutti i nuovi genomi sequenziati, provengono da materiali scheletrici di 116 individui che fanno parte di collezioni Sapienza. I risultati sono pubblicati sulla rivista Science

Lo studio più vasto di sempre sull'antico DNA umano, insieme al primo genoma di un individuo dell'antica Indus Valley Civilization, rivela, con una metodologia di dettaglio che non ha precedenti, la mutevole discendenza delle popolazioni dell'Asia centrale e meridionale nel tempo.

La ricerca risponde anche a domande di lunga data sulle origini dell'agricoltura e sulla fonte delle lingue indoeuropee nell'Asia meridionale e centrale.

Genetisti, archeologi e antropologi del Nord America, Europa, Asia centrale e Asia meridionale hanno analizzato i genomi di 524 individui antichi mai studiati prima, aumentando il totale mondiale dei genomi antichi resi pubblici di circa il 25 per cento.

Confrontando questi genomi tra di loro e con genomi precedentemente sequenziati, nonché contestualizzando le informazioni accanto a documenti archeologici, linguistici e storici, i ricercatori hanno definito molti dettagli chiave su chi viveva in varie parti di questa vasta regione, dal Mesolitico (circa 12.000 anni fa) all'Età del ferro (fino a circa 2.000 anni fa), e la relazione con gli attuali abitanti.

La Sapienza ha contribuito a questo lavoro con materiali scheletrici di 116 individui che corrispondono al 22% di tutti i nuovi genomi sequenziati, provenienti da svariate aree: il gruppo più consistente è quello del Pakistan, con 91 individui da 5 necropoli, che coprono un arco di tempo dal Bronzo Finale al periodo storico, ma anche individui da siti iraniani dell’Età del Bronzo. Queste collezioni oggi sono parte del Museo di Antropologia della Sapienza diretto da Giorgio Manzi e del Laboratorio di Biologia delle popolazioni umane antiche, diretto da Alfredo Coppa del Dipartimento di Biologia ambientale della Sapienza, che è tra gli autori dell’articolo pubblicato su Science.

Lo studio si è avvalso di nuove metodologie di campionamento, che massimizzano la possibilità di ottenere dati genetici da regioni in cui la conservazione del DNA è spesso scarsa. Inoltre, la combinazione di dati, metodi e prospettive di diverse discipline accademiche ha reso possibile rilevare interazioni tra popolazioni e valori anomali all'interno delle popolazioni e tracciare due delle più profonde trasformazioni culturali nell'antica Eurasia: il passaggio dalla caccia e dalla raccolta all'agricoltura e la diffusione delle lingue indoeuropee, che sono parlate oggi dalle isole britanniche all'Asia meridionale.

Le lingue indoeuropee - hindi / urdu, bengalese, punjabi, persiano, russo, inglese, spagnolo, gaelico e oltre 400 altre - comprendono la più grande famiglia di lingue sulla Terra, tanto che per decenni, gli specialisti hanno discusso di come le lingue indoeuropee si siano diffuse attraverso parti così distanti nel mondo. Lo studio fornisce una consistente linea di prova dell’arrivo delle lingue indoeuropee in Europa tramite i pastori della steppa eurasiatica, smontando la cosiddetta “ipotesi anatolica”, e spiegando la ragione di caratteristiche linguistiche condivise altrimenti sconcertanti per rami indo-europei oggi separati da vaste distanze geografiche. Ad esempio, i modelli genetici collegano i parlanti dei rami indo-iraniano e balto-slavo dell'indo-europeo, poiché gli attuali oratori di entrambi i rami discendono da un sottogruppo di pastori della steppa che si sono trasferiti a ovest verso l'Europa quasi 5.000 anni fa, per poi diffondersi verso est nell'Asia centrale e meridionale nei successivi 1500 anni.

I risultati dello studio, si inseriscono anche in un altro dibattito di lunga data, relativo al passaggio da un'economia di caccia e di raccolta a una basata sull'agricoltura, la cui spiegazione è sempre in bilico tra i movimenti di persone, la copia di idee o le invenzioni locali, confermando che la diffusione dell'agricoltura ha comportato non solo una rotta verso ovest dall'Anatolia all'Europa, ma anche una rotta verso est dall'Anatolia alle regioni dell'Asia precedentemente abitate solo da gruppi di cacciatori-raccoglitori.

Nota metodologica – Open-notebook

La maggior parte dei dati per lo studio di Science è stata rilasciata pubblicamente circa un anno e mezzo fa, al momento della prima presentazione dell'articolo a un servizio di prestampa, allo scopo di consentire ad altri ricercatori di mettere in discussione le conclusioni e giungere a nuove intuizioni.

La pubblicazione della prima presentazione dell'articolo ha suscitato un forte interesse, con lo studio che è diventato di gran lunga la prestampa più scaricata nel 2018 (circa 55.000 download), scatenando un ampio dibattito. I dati sono già stati utilizzati in più articoli pubblicati e le analisi di altri ricercatori tra cui la comunità di blog sul genoma online hanno identificato nuovi modelli nei dati che gli autori non avevano inizialmente apprezzato. Questi risultati della comunità hanno sostanzialmente migliorato la versione finale del manoscritto.

 

Riferimenti:

The formation of human populations in South and Central Asia - Vagheesh M. Narasimhan, Nick Patterson, Luca M. Olivieri, Alfredo Coppa et al. - Science 06 Sep 2019: Vol. 365, Issue 6457, eaat7487 DOI: 10.1126/science.aat7487
 

Info

Alfredo Coppa
Dipartimento di Biologia ambientale, Sapienza Università di Roma
alfredo.coppa@uniroma1.it

 

 

Venerdì, 06 settembre 2019

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